The French Impressionists

“A Selection Of Songs” (LTM 2415, 2004)



“...tears would have come to glass eyes…”

1981, Glasgow, Scozia. Il giovane pianista Malcolm Errol Fischer vuol metter su un progetto musicale particolare, un quartetto inusuale che arriva a coinvolgere anche un vicino di casa, un certo Alan Horne proprietario di una label discografica, la Postcard (a Glasgow capita d'avere vicini simili).
Li tengono a battesimo Paul Quinn alla voce, Campbell Owens e un giovanissimo Roddy Frame (Aztec Camera).

La line-up originaria di The French Impressionists nel biennio 1981 e '82 presenta, oltre a Fischer, Beatrice Colin al canto, Paul Yacoubian al basso e Barry Ross alla batteria. I quattro hanno modo di mostrarsi con due brani, in una compilation della label Les Disques du Crepuscule: “The Fruit of the original sin” dell'81. La Colin viene presto rimpiazzata da Louise Ness, le cui sorprendenti affinità timbriche ed elettive camuffano l'inganno. È lei a far sbocciare le prime sincopate gemme 'Pick Up The Rhythm' e 'Blue Skies'.

In quei mesi il gruppo realizza una manciata di canzoni rivelazione, assolutamente complementari, confluite in un Ep, “A Selection of Songs” (Les Disques du Crepuscule, 1982), il cui titolo verrà ripreso dalla recente compila LTM oggetto del nostro intervento qui. Per le esibizioni dal vivo viene reclutata e aggiunta una seconda cantante, Margaret Murphy e il chitarrista Charles Reilly. Ma non c'è quasi più tempo: Nell'83 avviene lo scioglimento del gruppo.
Dunque a The French Impressionists è toccato un passaggio intimo e inconfessato, falso movimento, messaggio di telegramma, destino di macchia ad esser colto da pochi esteti, intenditori, fanatici.
Una carriera di singoli rastrellabili da Ep, 12'' e 7'', “musica popolare al suo meglio”, antidoto a “cacofonia e inarmonia” a volte frequenti nelle intense e brucianti forme wave e post-punk di allora (virgolettati da una Newsletter Crepuscule, 1982).

Confabulando sulla forma musicale di questi Impressionisti, percepiamo qualcosa di inaudito ed illuminante, di mai sentito prima, mai così. È jazz il loro? (Gershwin, Peterson), oppure è contemporanea (Satie..), bossanova, pop?
È seduzione, coagulo di semplice ('impressionism') e sofisticato ('bohemien'): The French Impressionists sono definiti qua e là “jazz ensemble” eppure non è così, non basta. Lo spirito è avanti, nell'emisfero della rivelazione, già indiepop (ma neppure 'solo' indiepop).
Dalla prima all'ultima traccia espressiva di Fisher e soci rinveniamo melodie solari di pianoforte imbevute di un 'jazz-flavour' vocale, un po' la quieta, tenue, lieve esegesi camerista delle spiritate e nevrotiche 'seduzioni' dei mancuniani Ludus di Linda Mulvey.
Sul terreno una vivacità irresistibile e senza tempo, lineamenti armoniosi dolcemente simbolici, impalpabile gusto, un minimalismo atipico e una sgargiante frenesia da sempre DNA dell'indiepop.


La monumentale edizione remaster di LTM è persino quasi esatta cronologicamente, ripercorrendo la storia di French Impressionists per intero e sin dai primi vagiti -il menzionato ep “A Selection of Songs” (le sorprese di 'Pick Up The Rhythm', 'Blue Skies', 'Since You've Been Away', 'Theme From Walking Home') e setacciando le tante compile Crepuscule anni ottanta. E'qui che arriviamo a vivere i risvegli di 'Castles In The Air', soffioni nello scirocco, tra le più assolute e lucide grazie pop di tutti i tempi. E 'My Guardian Angel', meriggio in stasi, incisa 'impressionisticamente' con Quinn ed Aztec Camera, o ancora una cover di 'Santa Baby'.
I brani dal vivo, tra i quali spiccano 'My Rainy Day', 'Nothing Really Matters', la gershwiniana 'Summertime' e una nuova 'Blue Skies', pur con minore fedeltà acustica esaltano le armoniose corde vocali della Ness in particolare; interpretazioni cariche e luminose che costituiscono il tratto distintivo delle performances a Glasgow.

Questo pittoresco, esuberante excursus di tempo e di immagini in musica, di interludi e di memorie di vite mai vissute, conclude planando maestosamente in due suites pianistiche, più particolarmente 'colte', scritte da Fisher a gruppo ormai sciolto ma sempre comunque 'in topic' con quanto espresso sinora. Partiture malinconiche ornate di fascino e desiderio quasi inscrutabili, strumentali classicheggianti in cui Fisher ci offre l'ultima assuefazione e che d'istinto appaiamo al fantomatico collettivo Cold Blue.
Oggi il pianista vive a Milano, ancora in attività.

Dopo The French Impressionists ed i primi paralleli esperimenti discografici Cherry Red, sarà il tempo di numerosi collettivi pop-jazz cool emersi tra '83 ed '85, spesso di notevoli esiti ma non più indie: ammansiti e blockbuster come le Carmel di “The Drum is Everything”, gli Working Week di “Working Nights” sino a Style Council, Swing Out Sister, Sade.

(aprile 2006)